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testimonianze Veglia per la Vita

dalla Veglia per la Vita del 3 febbraio 2017

Testimonianza 1)

Mi chiamo Fausto, sono nonno di due nipoti, Gabriel e Leonora, e frequento la Parrocchia di San Nicola, a Sestri Ponente. Il mio riavvicinamento alla fede è avvenuto soltanto un anno fa, proprio mentre la mia famiglia stava attraversando un periodo di pesanti tribolazioni. Circa due anni fa, infatti, mia nuora Maria – mamma di Gabriel – in seguito ad una caduta è rimasta paralizzata agli arti superiori e inferiori; in conseguenza di ciò, mia moglie è andata incontro ad una forte depressione.
La vita di ognuno di noi e i delicati equilibri familiari sono stati profondamente rimessi in di-scussione. Il papà spendeva tutte le sue energie nell’accudire la mamma; la nonna, ammalatasi, ave-va a sua volta bisogno delle dovute cure e attenzioni. Mi resi subito conto che nella nuova quoti-dianità di Gabriel il ruolo del nonno aveva acquisito un’importanza fondamentale. Tuttavia, non essendo illuminato dalla grazia di Dio, il mio rapporto col piccolo era costantemente intaccato dalla disperazione e dallo sconforto; il mio sostegno, efficace sul piano materiale, si rivelava però fragile e inadeguato quando dovevo affrontare con lui i grandi perché della vita.
Un giorno, su suggerimento di un’amica, iniziai a frequentare un gruppo di preghiera della mia zona. La presenza viva del Signore, l’insegnamento della sua Parola, il mio riaccostarmi ai sacra-menti e alla Chiesa trasformarono in brevissimo tempo il mio cuore, la mia mente, la mia stessa impostazione di vita. La potenza dello Spirito rigenerò anche i rapporti con i miei familiari. Nutrito dei valori cristiani, ho cominciato ad essere davvero il nonno di cui aveva bisogno Gabriel, che più di tutti soffre la nostra particolare condizione.
Abbiamo scoperto un dialogo arricchito di memoria e speranza, in cui il racconto delle mie esperienze passate – anche quelle difficili – si intreccia con la spontaneità del suo guardare al futuro e riceve forza dal suo entusiasmo nel leggere insieme il Vangelo o i libri del catechismo, dalla sua voglia di condividere con me momenti di preghiera. Io sono più forte e sereno e riesco ad affrontare le molte difficoltà con una pace interiore che prima non avevo; mi viene naturale spiegare a mio nipote il rispetto della vita, l’attenzione agli ammalati, la dignità di ogni essere umano; insegna-menti che, calati nel concreto della nostra famiglia, diventano vera e coraggiosa testimonianza d’amore. Attraverso il mio esempio e la mia guida, anche il bambino sta diventando più saldo nel-l’affrontare le sofferenze e gli ostacoli dell’oggi e ha una visione più positiva del domani.
Solo ora capisco quanto mi sia mancato il non aver conosciuto abbastanza mio nonno e il non aver coltivato nella fede un rapporto sano e vero con i miei genitori. Ringrazio, quindi, il Signore per avermi chiamato e trasformato; lo ringrazio per avermi dato la possibilità di riplasmare il legame con i miei nipoti secondo il sogno di Dio Padre; lo ringrazio per avermi dato il coraggio di tra-smettere loro gli insegnamenti della Santa Chiesa e le verità della Parola di Dio, fonte inesauribile da cui possiamo attingere, come persone e come famiglia, la forza per andare avanti.

Testimonianza 2)
Mi chiamo Maria, l’esperienza della mia famiglia nel campo dell’accoglienza è nata intorno agli anni ‘90, quando con mio marito abbiamo sentito il desiderio di un altro figlio. Le nostre due figlie naturali avevano allora 8 e 6 anni e noi, soprattutto in ascolto delle situazioni di disagio e bisogno che giungevano dal mondo dell’infanzia, ci siamo chiesti se la nostra famiglia potesse aprirsi all’accoglienza di un figlio che, in qualche parte del mondo, il Signore aveva già preparato per noi, per colmare il nostro desiderio di dono. Nel 90 non esisteva ancora una sensibilizzazione nel campo dell’affidamento familiare di un minore, per cui la nostra attenzione si è rivolta, in un primo momento, ad un’accoglienza che passasse attraverso l’adozione. Ma, nel corso di un paio d’anni, formandoci, riflettendo, meditando, chiedendo anche nella preghiera di coppia quale fosse la richiesta alla quale dovessimo rispondere, il percorso adozione si è convertito in affidamento familiare, per cui a febbraio del 1993 è arrivata da noi una bambina cinese di due mesi e mezzo.
Per noi è stata decisiva la “spinta” del parroco di allora che, durante uno dei nostri periodici confronti, in cui esplicitavamo le nostre perplessità e i dubbi legittimi, ci ha detto di “buttarci” nell’esperienza, confidando sempre nel Signore che sorregge e guida.
Alle spalle avevamo anche un gruppo famiglie parrocchiale con il quale abbiamo condiviso la crescita della nostra piccola bimba cinese, il momento del suo Battesimo e tanti altri momenti di famiglia in cui la presenza della bambina scaldava e inteneriva il cuore di tutti noi presenti.
L’affido è sicuramente un’avventura di vita molto intensa, in cui è tutta la famiglia, compresi i figli naturali, che fa l’esperienza dell’accoglienza, accoglienza non solo del bambino, ma anche della sua famiglia d’origine.
Si vive nella famiglia la presenza di un figlio non totalmente nostro, da amare, accudire, far crescere e donare alla famiglia d’origine, nel momento in cui le condizioni lo consentano.
Abbiamo incarnato la figura del “cireneo”, affiancando una coppia in difficoltà e aiutandola a sostenere la fatica per un tratto del cammino. Infatti, dopo circa 4 anni, abbiamo lentamente accompagnato questa figlia verso la sua famiglia naturale.
La gratitudine nei suoi confronti è grande. Grazie a lei ed ai suoi genitori abbiamo potuto conoscere un’altra cultura, ma, soprattutto, l’esperienza ci ha fatto percepire un altro modo di intendere le relazioni all’interno della famiglia: i figli, anche quelli naturali, non sono totalmente nostri. Huang è rientrata nella sua famiglia d’origine a 8 anni circa e niente è andato perduto dell’affetto forte che abbiamo vissuto. Ormai ha 24 anni, il suo legame con me e le sorelle è rimasto intatto.
Si è laureata, è diventata cittadina italiana, con lei continuiamo a vivere le vicende lieti e tristi di entrambe le famiglie. Nell’evento triste della morte di mio marito, avvenuta un anno e 4 mesi fa, ha sofferto da figlia il lutto per il suo papà affidatario.
La vita con Carlo, mio marito, è stata fortemente contrassegnata dall’esperienza dell’accoglienza.
Nel febbraio del ‘98 è arrivata da noi un’altra bimba di due mesi e mezzo, la nostra casa non particolarmente spaziosa ospitava 6 persone ma abbiamo potuto sperimentare che mattoni e pareti potevano avere la stessa elasticità della nostra casa interiore ed allargarsi a fisarmonica per fare spazio concreto ed affettivo ad una nuova figlia, che adesso ha 19 anni e vive sempre con me. La situazione della sua famiglia biologica non è recuperabile, purtroppo, per cui l’affido è “sine die”, non prevede un termine.
Dare vita, affetto, una famiglia, una possibilità di riscatto in esistenze in cui catene di povertà vanno spezzate è sempre stato, tacitamente, l’obiettivo della mia famiglia, all’interno della quale le mie figlie naturali hanno potuto recepire la proposta educativa di un progetto di famiglia che diventa dono per chi può averne bisogno e hanno vissuto legami di affetto che hanno lo stesso valore e lo stesso peso dei legami naturali.
Quando ripenso al percorso di questi 24 anni di affido familiare mi risuona dentro un versetto della Lettera agli Ebrei “Alcuni, senza saperlo, hanno accolto angeli”.
Non so se le figlie che, entrambe, un giorno di febbraio di parecchi anni fa, hanno bussato alla porta di casa siano “angeli”, sicuramente con loro abbiamo vissuto un’esperienza di apertura del cuore e umanità per noi altrimenti impossibile.

Testimonianza 3)
Sono Margherita, nata nella campagna di Cracovia, dove ancora oggi per arrivare a casa non c’è l’asfalto. Quarta di sette figli, in seguito alla perdita del lavoro e con solo il diploma di tecnico del vestiario, sono partita per l’Italia. Avevo 19 anni.
Il mio partire non è stato un progetto di vita, è stata un’avventura dove il coraggio mi ha sempre accompagnata. La mia forza la mia determinazione è sempre stata alimentata dalla Fede.
Una Fede semplice che mi hanno trasmesso i miei genitori.
Ho sempre visto i miei genitori in ginocchio a pregare sotto al quadro della nostra Madonna nera.
All’epoca vedevano gratuitamente i canali trasmessi dalla RAI, ci facevano conoscere la vita in Italia. Un abisso rispetto alla tv polacca.
Mia sorella è stata la prima a venire in Italia. Già sposata e con una bimba, è rimasta affascinata dalla lingua italiana. Nel 1992 dopo aver frequentato un corso di lingua italiana decise di partire per tre mesi per perfezionare la lingua. Si manteneva facendo la ragazza alla pari.
Alla fine del trimestre ha chiesto a me se volevo sostituirla perché lei desiderava tornare dalla sua famiglia, in Polonia. Così è iniziata la mia avventura in Italia: facendo la baby-sitter a due bambini.
All’inizio ero felice e orgogliosa perché’ ero riuscita a essere autonoma e indipendente e potevo addirittura aiutare economicamente i miei genitori.
Come ragazza alla pari pensavo di essere trattata come una di famiglia e invece...poco dopo ho capito che non era cosi, ma non mi sono arresa.
Per non sentirmi umiliata ho lasciato il lavoro e mi sono trovata letteralmente sulla fermata dell’autobus con la valigia in mano senza sapere dove andare.
Con l’aiuto di una conoscente ho messo un’inserzione sul giornale. In poco tempo ho ricevuto più di una proposta di lavoro. Così è iniziata una nuova avventura lavorativa: facevo assistenza agli anziani!
Nel lavoro ho sempre scelto la domenica come giorno di festa così potevo continuare ad andare a messa, come facevo in Polonia con la mia famiglia. Il parroco Salesiano, vedendomi a messa tutte le domeniche, mi ha invitato a collaborare nell’oratorio. Dopo poco tempo mi ha affidato il gruppo dei ragazzi e mi ha dato il mandato catechistico. Stare con i giovani mi ha sempre portato molta gioia e così mi dimenticavo della lontananza dal mio paese e dalla mia famiglia.
Ho lottato per non subire le avversità della vita, ho avuto il coraggio di superarle cambiando, ho sempre cercato nella fede il conforto che mi hanno testimoniato i miei genitori, la mia famiglia.
Dopo tre anni ho conosciuto un uomo che non ha visto in me una straniera ma una ragazza come tutte le altre. Così da una semplice storia è diventato un
progetto di vita. Siamo sposati da 18 anni, abbiamo due splendide figlie una vita semplice nelle mani di Dio.
Ritornare ogni tanto in Polonia, con la mia famiglia, era un’impresa per colpa delle frontiere da attraversare con l'auto.
Ho vissuto la difficoltà di sentirmi dire: tu sei straniera, non sei come noi.
Ho provato la sensazione di non essere accolta, accettata per quello che ero e che oggi sono. Un marchio che ti rimane per sempre. Maurizio, mio marito, essendo di origine meridionale, mi ha aiutato perché anche lui viveva la stessa difficoltà. A volte ci facevamo delle risate su questa situazione, io troppo del nord, lui troppo del sud. Ho combattuto, sempre. Quando sul lavoro non mi trovavo bene, non scendevo a compromessi. Non volevo perdere la mia dignità, potevo accettare e tollerare certi atteggiamenti, ma avevo fissato dei limiti, dettati dai principi e dagli ideali che mi aveva trasmesso la mia famiglia.
A tutt'oggi sono comunque una persona emigrata ma felice della scelta presa, realizzata in un bel Paese come l'Italia e spero di buon esempio per le mie figlie tutto grazie all'aiuto di Dio.

Testimonianza 4)

Buonasera a tutti sono Maria Grazia questo è il mio sposo Ettore e i nostri due figli Anna e Giovanni.
Poter raccontare di noi come famiglia che vive alla luce di Dio e nella gioia ci sembra una bella opportunità.
Quando ci siamo conosciuti non eravamo più ragazzi spensierati ma già un uomo e una donna con esperienze importanti alle spalle.
Ettore portava con sé un figlio oggi ventenne Riccardo.
Fin da subito abbiamo condiviso la certezza che le nostre vite erano nelle mani di Dio e che lui aveva per noi un progetto, ci voleva uniti in un matrimonio cristiano, dovevamo metterci in ascolto e provare con pazienza a sbrogliare i nodi che rendevano più lento il nostro cammino.
Così è stato: è arrivata Anna, il sacramento del matrimonio e Giovanni Battista.
Ed eccoci famiglia, i nostri tre figli sono tutti speciali ognuno con le sue caratteristiche.
Riccardo possiede capacità artistiche, dopo la maturità scientifica ha intrapreso un'interessante esperienza professionale nell'ambito delle ceramiche.
Anna è bella e dolce ma più di tutto è una bambina educata e amorevole e riempie le nostre vite con sempre nuove avventure.
Giovannino il più piccolo ha la sindrome di down, al secondo mese di gravidanza dopo una diagnosi prenatale che non lasciava alcun dubbio, i medici ci suggerirono di prenderci del tempo per pensare sul da farsi. Ci ritrovammo in una fredda sala d'attesa ad aspettare il colloquio con la genetista, in silenzio, sguardo nello sguardo, ad ascoltare le nostre emozioni.
Passò poco tempo non molto, ed eravamo certi entrambe di quel che dovevamo fare, nessun dubbio, era una vita quella che Dio ci aveva affidato dovevamo proteggerla, farla nascere e crescere con tutto l'amore di cui eravamo capaci.
Le paure e le incertezze che si sono presentate alla nascita si sono stemperate quasi subito trasformandosi in convinzione che Dio avrebbe fatto quello che noi non potevamo e con coraggio e perseveranza giorno dopo giorno facciamo la nostra parte.
La nascita di Giovanni è diventata così, un lieto evento, portando con sé gioia e tanta simpatia.
Le nostre famiglie, la comunità parrocchiale sono sempre state di sostegno attraverso l'amore e aiuti concreti.
Talvolta siamo stanchi e affaticati perché gli impegni sono tanti e pure le difficoltà, subito arriva il nervosismo e lo sconforto ma alla fine prevalgono serenità e gioia e il desiderio di stare stretti l'uno all'altra. Riusciamo a sorridere dei nostri guai e a vederli come opportunità di crescita.
I due grandi pilastri su cui fondiamo il nostro camminare sono la preghiera e il servizio.
Servire e aiutare gli altri ha fatto la differenza, non è sempre facile trovare il tempo ma tanto abbiamo ricevuto dal buon Dio e tanto vorremmo poter dare. Servire ci apre verso il mondo e non ci fa ripiegare su noi stessi.
La gioia e la voglia di sognare ci liberano dalla paura e la preghiera
è un sostegno indispensabile.
Grazie.
La nascita di Giovanni è diventata così, un lieto evento, portando con sé gioia e tanta simpatia.
Le nostre famiglie, la comunità parrocchiale sono sempre state di sostegno attraverso l'amore e aiuti concreti.
Talvolta siamo stanchi e affaticati perché gli impegni sono tanti e pure le difficoltà, subito arriva il nervosismo e lo sconforto ma alla fine prevalgono serenità e gioia e il desiderio di stare stretti l'uno all'altra. Riusciamo a sorridere dei nostri guai e a vederli come opportunità di crescita.
I due grandi pilastri su cui fondiamo il nostro camminare sono la preghiera e il servizio.
Servire e aiutare gli altri ha fatto la differenza, non è sempre facile trovare il tempo ma tanto abbiamo ricevuto dal buon Dio e tanto vorremmo poter dare. Servire ci apre verso il mondo e non ci fa ripiegare su noi stessi.
La gioia e la voglia di sognare ci liberano dalla paura e la preghiera
è un sostegno indispensabile.
Grazie.

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